Inachis? Un diario dove tutti possono riporre i propri ricordi, dove tutti possono andare per rivivere il passato che ha investito le proprie vite, come ha fatto Pietro impreziosendo il proprio diario con uno sfogo di qualche anno addietro, scritto dopo che la negligenza umana ha dimostrato i propri limiti causati dalla propria ignoranza. Inachis "esiste" grazie anche a Pietro e a tutti quelli che come lui credono nella sacralità della natura e quindi in quella dell'uomo, noi non vogliamo il "Mondo" ma più semplicemente delle risposte, concrete e coerenti ma delle risposte. Buona lettura e grazie.
Salviamo il parco
di Pietro Macera
Le questioni importanti delle conoscenze ecologiche di base sono gli studi che riguardano l’ecologia delle specie e i sistemi più complessi come le comunità vegetali e animali e tutte le relazioni complesse che esistono tra gli organismi e ambiente e fra gli organismi stessi. L’obiettivo dell’ecologia è quello di far conoscere gli strumenti necessari per affrontare i problemi di natura ambientale in cui è necessaria la conoscenza di tipo ecologica e biologica. Ma non basta! Bisogna integrare queste conoscenze con altre di natura interdisciplinare. Una sola visione naturalistica non è sufficiente per fare una diagnosi di tipo ambientale…Ecco perché è importante lo studio dell’Ecologia applicata. L’ecologia applicata studia gli impatti delle attività antropiche sull’ambiente, alle varie scale della biodiversità, i rimedi, le responsabilità e come dare supporto a chi deve fare le leggi giuste in materia ambientale.
Tutti avete saputo in questi giorni dei tre orsi marsicani avvelenati con strichinina (e anche dei lupi): atto di inciviltà senza pari!!! Una specie protetta e rara, di cui sono rimasti circa 50 esemplari, che dal punto di vista genetico rappresentano un numero troppo basso per poter garantire la conservazione di una certa variabilità atta a garantire la perpetuazione a lungo termine della specie, ed offrire più opportunità di sopravvivenza alle pressioni selettive che si modificano nel tempo.
Perché tutto ciò succede? Come l’ecologia applicata affronta la questione?
Cerchiamo di andare all’origine del problema…“Immaginiamo di arrivare nel Parco d’Abruzzo: vedo persone che fanno il carbone come una volta, persone che portano il gregge al pascolo,…..vedo persone che lavorano legate alle tradizioni locali. Vedo che l’economia di questo territorio non è un’economia aggressiva, vedo un contesto rurale, di montagna. Vedo anche che la natura è abbastanza conservata perché non c’è stato abbastanza capitale per intervenire in maniera aggressiva, non c’è stata la pressione del cosiddetto “cemento armato” e dell’industria. Sostanzialmente è rimasta un’economia più povera ma vicina alla natura. Il Parco presenta valli e cime montuose splendide, che permettono bellissime escursioni tra boschi, fiumi, laghi, borghi ed aree abitate da camosci, orsi, lupi, aquile, lontre, caprioli, e centinaia di specie di uccelli. Nel parco sono state censite oltre 1.200 piante superiori che formano una variegata foresta costituita essenzialmente di roverella , cerro, abeti, carpino nero, acero nero, fruttiferi selvatici e soprattutto il faggio intervallato dal sorbo montano, dal frassino e dall'agrifoglio. Parco storico per eccellenza, esempio di protezione della natura è considerato uno dei più prestigiosi d'Europa. Questo è un pezzo di mondo meraviglioso che va salvato! Come?..... si definiscono le regole del Parco…, che pongono dei vincoli necessari, anche a quelle persone che negli anni hanno dato un contributo per la conservazione di questo ambiente. Ed è duro per la gente entrare in questa mentalità:
- “Ma come, io ho conservato e tu mi metti i vincoli?” opinione collettiva che sembra una contraddizione!
- “Io sono un pastore e porto le pecore sempre al pascolo. Nel Parco ci sono lupi e gli orsi che mangiano le mie pecore. Ed io che faccio? Li ammazzo!” pensa il pastore.
Come è possibile levare dalla mente di un pastore che ha le pecore, che il lupo che gliele mangia non deve essere ucciso e che non costituisce inoltre un pericolo per la sua persona? Come è possibile levare dalla mente di un pastore che questo animale gioca un ruolo essenziale nell’ecosistema fragile e sovrasfruttato del parco?
Lo sviluppo del parco è avvenuto senza un coinvolgimento fortissimo delle popolazioni locali; ma qualcuno può dire: “Se aspettavi il consenso di tutti non avresti fatto il parco!”. È normale dunque che il territorio ha lasciato dei forti residui di conflittualità nelle persone e che si uniscono a molte ideologie contrarie, scatenando poi delle pesanti vendette contro tutto e contro tutti….e….se poi c’è un simbolo o un totem che diventa visibile (es. l’orso o il lupo), si cerca di sparare al simbolo. Il tema della morte degli orsi e dei lupi è il risultato soprattutto di errori di tipo territoriale. Se è vero che gli orsi hanno portato benefici al turismo, è vero pure che questi non si sono diffusi in maniera uniforme! Troppo semplice, troppo comodo, addossare la responsabilità degli orsi recentemente avvelenati nel Parco Nazionale d’Abruzzo alla gente “cattiva” d’Abruzzo o ai soliti bracconieri, senza curarsi di comprendere come fatti del genere, vistosamente dolosi, non si siano mai verificati prima d’ora, senza cercare di risalire alle origini del problema, senza cercare di comprendere le motivazioni che presumibilmente sono alla fonte di questa tragedia ambientalista; senza scuse verso chi ha commesso il misfatto, ma anche senza scuse verso chi ne ha presumibilmente la responsabilità morale. Oggi l’odio è stato fomentato da altri fatti, fatti nuovi, fatti che mai in Abruzzo, Lazio e Molise si erano verificati prima a memoria d’uomo. Chi ha fatto sì che gli orsi, un tempo selvatici, stiano sempre più addomesticandosi, frequentando i paesi, e quindi i pollai e le stalle (come un tempo facevano solo le volpi!)? Chi ha fatto sì che questi orsi si siano piano piano tanto assuefatti all’uomo da far sparire in alcuni di essi la paura ed il timore che ne avevano sempre avuto? Chi ha iniziato la tanto nefasta e criticata politica dei carnai, dei meleti e “caroteti”? Non si doveva forse pensare, come altri lo hanno fatto, al rischio di queste iniziative?
L’orso ha bisogno di restare selvatico nella sua selvaggia natura, non di vetrine da dare in pasto al turismo! Non è con una mossa mediatica come quella di offrire 10.000 euro di taglia che si salverà l’Orso marsicano, ma facendo sì che l’Orso ritrovi la quiete di un tempo sulle sue montagne, controllando ed impedendo un certo turismo escursionistico oggi e da sempre favorito; facendo sì che non debba per forza andare a razzolare nei pollai o nei bidoni dell’immondizia per cercare un cibo al quale mai prima si era abituato; facendo sì che ritrovi nel suo ambiente il cibo abbondante che trovava un tempo ed al quale si era abituato da generazioni (greggi e coltivazioni); facendo sì che i danni siano pagati immediatamente e lautamente, anziché sprecare i soldi in tante inutile iniziative scientifiche e mediatiche che a nulla servono se non a soddisfare l’ego di tanti. Troppi soldi per inutile ricerche di ecologica comportamentale e pochi soldi per indennizzare i danni ed operare direttamente coltivazioni a perdere e per sostenere la pastorizia. Che le autorità frequentino di più i paesi del Parco e studino il comportamento degli abitanti locali, ne studino le esigenze e cerchino di andare incontro alle richieste di aiuti incentivanti agricoltura e pastorizia e paghino i danni nella forma di più corretta e lauta possibile, e lascino perdere le continue interminabili ricerche ecologiche che finiscono per avere l’unica finalità di riempire le biblioteche degli appassionati, spinti sempre più “sulle tracce dell’Orso”. I parchi stanno diventando una macchina che favorisce l'affare e le competenze sono sempre più estranee alla reale gestione. Se c'è un attacco mirato ai parchi una ragione deve esserci. E senza dietrologie astruse, bisogna prendere atto che nonostante l'enorme sperpero di risorse in propaganda, non si è fatto quello che più era prioritario: educare.
Cultura vuol dire conoscenza, vuol dire trasformare la conoscenza in stili di vita, vuol dire raccogliere e proseguire l'insegnamento esistente della tradizione e dargli un'anima, uno scopo.
Il parco non è una forma differita di finanziamento ai comuni, non è coltivare il giardino per valorizzare terreni. E purtroppo il parco è diventato una macchina a favore dell'affare che ha dimenticato il motivo per cui esiste.
Ma al fondo di tutto, emerge lo sfacelo organizzativo. Un Ente con 10 dozzine di lavoratori spesso male impiegati, indennizzi per i danni degli animali selvatici scarsi e tardivi, centri visita chiusi o abbandonati, Aree faunistiche in deprecabili condizioni, nessuna innovazione nelle strategie di comunicazione e coinvolgimento...E pensare che per oltre un trentennio questo Parco da tutti imitato era stato considerato un punto di ispirazione e riferimento….Bisogna riflettere.
Macera Pietro